Il dialogo con la zia Lia, legata al letto in un reparto di medicina in ospedale, costringe l’autrice a entrare in contatto con quanto vissuto nel corso della propria vita professionale e tenuto per molti anni sotto silenzio. L’esperienza della contenzione fisica viene infatti narrata attraverso gli incontri con esseri umani reali, pazienti, operatori, familiari e attraverso l’incursione nei saperi e nelle pratiche che sono state prodotte nel corso del tempo. L’evoluzione interiore dell’autrice si muove in parallelo, mettendo a nudo le paure, le ambiguità, le incertezze, le contraddizioni che si snodano via via, fino a giungere alla consapevolezza che è necessario uscire dall’indifferenza e prendere posizione, perché, parafrasando Einstein, “il mondo non è minacciato dalle persone che fanno il male, ma da quelle che lo tollerano”. L’intero testo è teso quindi ad accorciare le distanze tra sé e l’altro e invita il lettore a identificarsi con un’esperienza, di cui si può essere tutti protagonisti, all’interno di un copione in cui le forme del potere si manifestano in tutte le loro sfaccettature.