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Kremer H.
Ritalin e cervello
Macro Edizioni
Pag. 48 Formato: 15 x 21 cm. Anno: 2003 ISBN: 978-88-7507-385-5
€. 6.50 €. 6.17 (-5%)
I disastrosi effetti del narcotico Ritalin e le sue conseguenze sul cervello Il Ritalin (metilfenidrato) è un potente stimolante del Sistema Nervoso Centrale, simile alla cocaina. Anche in Italia, dopo gli USA, migliaia di bambini, diagnosticati come disattenti ed irrequieti (ADHD), rischiano di essere trattati con questo narcotico, efficace solo attraverso un costante incremento di dosaggio. Il danno alle funzioni cerebrali di questi piccoli pazienti potrebbe risultare irreparabile e il loro futuro essere per sempre condizionato dall’assunzione di psicofarmaci. Una descrizione scientifica che medici, pediatri, educatori e genitori devono conoscere per impedire la rovina di tanti bambini e adolescenti. Completano l’articolo preziose indicazioni di efficaci alternative terapeutiche.
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Scheda dell'autore: Kremer H.
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informazioni sull'Autore: Kremer H.
Heinrich Kremer studia Medicina dal 1958 al'65. Dal 1965 Dottorato in Medicina. Dal 1966-68 Medico ausiliario. Nel 1968 Dottorato in psichiatria e neurologia. Nel 1966-70 Studia Sociologia, Psicologia e Politologia nella Libera Università di Berlino. 1968-79 Responsabile medico di terapia sociale per tossicomani e persone con trascorsi gravi per problematiche relative alla sessualità ed alla personalità nel carcere di Berlino-Tegel progetto pilota del governo federale tedesco per la riforma del regime penitenziario). 1979-80 Professore, perito e capo di progetto di medicina sociale a Berlino e Bassa Sassonia 1981-88 Direttore medico della clinica specializzata per tossicomani della regione di Berlino, Brema, Amburgo, Schleiring-Holstein e Bassa Sassonia. Specialità principale: riabilitazione psicosomatica, ricerca clinica basica e profilassi di infezioni. Nell'ottobre '82 effettua la prima prova clinica del vaccino dell'epatite B. Settembre la prima prova clinica in Germania dei test di anticorpi del HIV 1988 si dimette per disaccordo sulla politica per le droghe e l'AIDS dal 1988 Perito, professore e redattore indipendente in medicina sociale.
Ricerche su droghe e AIDS e medicina dell'AIDS 1995-99 Membro del "gruppo di studio su immunità e nutrizione diretto dal Dr. Alfred Hassig. Quando nel 1984 escono i primi test HIV e il suo ospedale deve sperimentarli, analizza il funzionamento del test e lo ritiene non specifico. Esprime i suoi dubbi al Ministero della Sanità ma non viene ascoltato e gli viene confermato l'obbligo di utilizzarlo. Accetta a patto che il test sia anonimo. Prepara quindi le provette numerate col sangue dei pazienti e aggiunge altre provette numerate col sangue suo e dei medici dell'ospedale. Mentre non tutti i pazienti risultarono positivi, sia lui che tutti i medici risultarono positivi. Tutti erano stati sottoposti al vaccino dell'epatite B come categoria a rischio dato che operavano in un ospedale per tossicodipendenti, e ciò era sufficiente a produrre abbastanza anticorpi da dare positivo al test. Si rifiuta quindi di applicare un test chiaramente falso ai suoi pazienti, tanto più che ciò rappresenta una condanna a morte con pesanti conseguenze sui livelli di stress e quindi sullo stato psicofisico. In più rifiuta di somministrare farmaci altamente tossici a persone che invece avevano bisogno di trattamenti per stimolare la rigenerazione cellulare, soprattutto per danni epatici. Si licenzia e fa una previsione: nelle carceri tedesche (l'unico posto in cui le persone vengono sistematicamente testate all'HIV all'entrata e all'uscita) non ci sarebbe stata nessuna sieroconversione, nonostante la presenza di ventimila tossicomani che scambiano siringhe e hanno rapporti sessuali non protetti. Dopo 10 anni tale previsione venne confermata. Nonostante numerosi contagi di epatite e malattie veneree, non ci furono sieroconversioni per "l'HIV", tutti coloro che erano negativi all'entrata del carcere lo erano all'uscita. Ciò fu la conferma che gli anticorpi che danno risultato positivo ai test HIV sono endogeni, indicano uno stato di metabolismo personale, non trasferibile perché si è formato nel tempo e che può essere o no patologico. Quando nel 1984 escono i primi test HIV e il suo ospedale deve sperimentarli, analizza il funzionamento del test e lo ritiene non specifico. Esprime i suoi dubbi al Ministero della Sanità ma non viene ascoltato e gli viene confermato l'obbligo di utilizzarlo. Accetta a patto che il test sia anonimo. Prepara quindi le provette numerate col sangue dei pazienti e aggiunge altre provette numerate col sangue suo e dei medici dell'ospedale. Mentre non tutti i pazienti risultarono positivi, sia lui che tutti i medici risultarono positivi.
Tutti erano stati sottoposti al vaccino dell'epatite B come categoria a rischio dato che operavano in un ospedale per tossicodipendenti, e ciò era sufficiente a produrre abbastanza anticorpi da dare positivo al test. Si rifiuta quindi di applicare un test chiaramente falso ai suoi pazienti, tanto più che ciò rappresenta una condanna a morte con pesanti conseguenze sui livelli di stress e quindi sullo stato psicofisico. In più rifiuta di somministrare farmaci altamente tossici a persone che invece avevano bisogno di trattamenti per stimolare la rigenerazione cellulare, soprattutto per danni epatici. Si licenzia e fa una previsione: nelle carceri tedesche (l'unico posto in cui le persone vengono sistematicamente testate all'HIV all'entrata e all'uscita) non ci sarebbe stata nessuna sieroconversione, nonostante la presenza di ventimila tossicomani che scambiano siringhe e hanno rapporti sessuali non protetti. Dopo 10 anni tale previsione venne confermata. Nonostante numerosi contagi di epatite e malattie veneree, non ci furono sieroconversioni per "l'HIV", tutti coloro che erano negativi all'entrata del carcere lo erano all'uscita. Ciò fu la conferma che gli anticorpi che danno risultato positivo ai test HIV sono endogeni, indicano uno stato di metabolismo personale, non trasferibile perché si è formato nel tempo e che può essere o no patologico.
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