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Tiziano Cantalupi - Donato Santarcangelo
Psiche e Realtà
La psicologia e la teoria quantistica spiegano la natura profonda della realtà umana e materiale
Tecniche Nuove
Pag. 240 Formato: 15 x 22.5 cm Anno: 2015 ISBN: 978-88-481-3014-1
€. 22.90 €. 21.75 (-5%)
Psiche e realtà sono più simili di quanto comunemente si creda. Scopo del volume, scritto a quattro mani dallo psicologo Donato Santarcangelo e dal fisico Tiziano Cantalupi, è colmare una lacuna che ormai da mezzo secolo ha interessato le ricerche integrate di psicologia e fisica. E se, si chiedono gli autori, fossimo all’alba di una nuova era nella quale “psichico” e “fisico” dimostrassero di essere in un certo senso la stessa realtà, con accentuazioni energetiche diverse? L’ultimo contributo in direzione di una lettura unitaria della dimensione psichica e della "realtà materiale" risale all’ormai lontano 1952: anno in cui Carl Gustav Jung e Wolfgang Pauli scrissero il testo intitolato “L’interpretazione della natura e della psiche”.
Oggi a cinquant’anni di distanza da questo fondamentale lavoro Santarcangelo e Cantalupi riprendono, aggiornandoli, i numerosi punti di contatto esistenti tra psicologia e fisica. In particolare la conferma sperimentale avvenuta nel 1982 di quel particolarissimo fenomeno noto in fisica quantistica come “non località”, getta nuova luce sull’ipotesi sincronicistica di Jung. La possibilità verificata in laboratorio che due microparticelle separate da grande distanza reagiscano “all’unisono” a determinate (e acausali) situazioni sperimentali, prova che in natura la sincronicità non è solo una pura ipotesi. Gli autori credono che la sincronicità possa essere un possibile principio esplicativo della realtà che affianchi e in qualche modo pre-ordini la logica.
La sincronicità costringe a rivedere l’ideale di un mondo dove ha valore solo quello che in maniera indiscutibile da una certa causa fa derivare un determinato effetto, dove ha valore solo ciò che è presuntuosamente ritenuto oggettivo senza appello. Questo mondo è stato vincente in occidente soprattutto per l’illusione di controllo che questo modo di essere e di agire produce, esorcizzando ataviche paure. E se come metodologia “necessaria” si rivelasse opportuno andare invece oltre la pretesa "forte" della ragione di voler creare incasellamenti, norme e verità "finali? E se per il nostro benessere fosse necessaria piuttosto una "mediazione" continua, una naturale danza tra il credere e il non credere, tra l’azione e la contemplazione, porsi piuttosto domande che risposte? Forse abbiamo davvero bisogno di questa fluidità, la realtà scivola e noi rischiamo di scivolare con essa.
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