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Julius Evola
La Tradizione Ermetica
Con un saggio introduttivo di Seyyed Hossein Nasr
Mediterranee
Pag. 224 Formato: 17 x 24 cm. Anno: 1996 ISBN: 978-88-272-1159-5
€. 15.49 €. 14.72 (-5%)
L'alchimia, strettamente connessa con l'ermetismo e la tradizione ermetico-alchemica, che dal periodo alessandrino si è continuata fin sulle soglie del mondo moderno, riguarda essenzialmente un insegnamento iniziatico esposto usando il simbolismo di metalli e di trasmutazioni dei metalli. Quest'opera di Julius Evola espone in modo sistematico, con costanti e numerosissimi riferimenti alle fonti, la tradizione ermetico-alchemica secondo questo aspetto essenziale. Essa si distingue nettamente da altri tentativi di interpretazione dell'alchimia, quali quelli dello Jung e del Silberer, perché non si tratta tanto di interpretazioni psicologiche e tanto meno psicanalitiche, ma si considerano realtà ben più profonde, legate agli insegnamenti tradizionali e alla concezione generale del mondo e dell'essere umano posta come base all'insieme delle dottrine esoteriche e misteriosofiche, occidentali non meno che orientali.
L'alchimia è, dunque, in realtà, una scienza iniziatica esposta con un travestimento chimico-metallurgico; le sostanze di cui parlavano i testi sono simboli per forze e principî dell'ente umano o della natura assunta sub specie interioritatis e nei suoi aspetti iperfisici. Le operazioni riguardano essenzialmente la trasformazione iniziatica dell'essere umano. L'oro alchemico rappresenta l'essere immortale e invulnerabile, pensato però negli stessi termini della teoria dell'immortalità condizionata: non come una realtà data, ma come qualcosa di eccezionalmente realizzabile mediante un procedimento segreto. Nell'insieme, ci si trova di fronte ad una cosmologia e ad uno speciale sistema di simboli e di tecniche. Ciò, per quel che riguarda il nucleo più autentico e essenziale della tradizione, separato dalle scorie e dagli elementi secondari e accessori.
Fra le scorie, rientrano le speculazioni, le opere e le fatiche di coloro che, per incomprensione, presero alla lettera i simboli e si diedero a operazioni fisiche in un più o meno disordinato sperimentare e provare, nei termini, appunto, di una chimica allo stato infantile e prescientifico. Ma dai veri «figli di Ermete» costoro furono chiamati sprezzantemente «bruciatori di carbone», profani che avevano «messo a rovina» la vera scienza. Ma a parte l'esegesi dell'ermetismo alchemico dal punto di vista iniziatico, esso si presenta anche come una tipica testimonianza di una delle due grandi linee tradizionali: di quella regale, attiva e virile, opposta alla linea sacerdotale o ascetico-contemplativa. Infatti, nell'ermetismo alchemico sta in primo piano l'istanza pratica, operativa, il primato dell'«arte», quindi dell'azione, lo «sperimentalismo» esteso al piano dello spirito. Era già significativa la designazione più in uso di tale disciplina: Ars Regia, cioè arte regale.
Ma soprattutto gli orizzonti realizzativi sono caratteristici. Secondo tutti i testi, la Grande Opera alchemica comprende tre fasi principali, contrassegnate da altrettanti colori — il nero, il bianco e il rosso: la nigredo, o «Opera al Nero», corrisponde più o meno all'uccisione dell'Io fisico, alla rottura della chiusura della comune individualità. L'albedo, o «Opera al Bianco», è l'apertura estatica, l'esperienza della luce, però con un carattere passivo, per cui essa viene chiamata anche regime della Donna o della Luna. Lo stadio finale o perfetto, la rubedo, o «Opera al Rosso», comporta il superamento di tale fase, la riaffermazione della qualità virile e dominatrice, per cui nei testi si parla del superamento della Donna, del regime del Fuoco e del Sole.
La Tradizione ermetica comprende due parti, la prima delle quali tratta delle dottrine e del simbolismo (offrendo al lettore una chiave indispensabile ove egli si interessasse eventualmente ad uno studio dei testi); la seconda parte espone i procedimenti operativi i quali, nei termini di una scienza a suo modo positiva, e non di divagazioni mistiche, perseguono il fine essenziale di una trasmutazione e di una integrazione dell'essere umano. Uno degli intenti della presente opera è così di indicare in quest'arte una formulazione speciale della via iniziatica, caratterizzata da un orientamento affermativo «regale» in senso traslato, più che contemplativo o soltanto intellettuale o sapienziale.
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Scheda dell'autore: Julius Evola
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informazioni sull'Autore: Julius Evola
Julius Evola (19 maggio 1898 - 11 giugno 1974) nasce a Roma da famiglia siciliana di nobili origini. Formatosi sulle opere di Nietzsche, Michelstaedter e Weininger, partecipa alla prima guerra mondiale come ufficiale di artiglieria. L’esperienza artistica lo avvicina a Papini e a Marinetti, a Balla e a Bragaglia, ma è l’incontro epistolare con Tzara che lo impone come principale esponente di Dada in Italia: dipinge ed espone i suoi quadri a Roma e a Berlino, collabora alle riviste Bleu e Noi, elabora testi teorici (Arte astratta, 1920, definito da M. Cacciari “uno degli scritti filosoficamente pregnanti delle avanguardie europee”); scrive poemi e poesie (La parole obscure du paysage intérieur, 1921). Iscrittosi alla facoltà di Ingegneria, giunto alle soglie della laurea, vi rinuncia per disprezzo dei titoli accademici.
Il dadaismo – di cui oggi viene considerato il maggior esponente italiano – è però solo un primo passo per “andare oltre”: completa un suo ampio lavoro filosofico iniziato nelle trincee del Carso, che intende presentarsi come un superamento dell’idealismo classico e lo fa precedere da una raccolta di scritti (Saggi sull’idealismo magico, 1925; Teoria dell’Individuo assoluto, 1927; Fenomenologia dell’Individuo assoluto, 1930). Attira l’attenzione di Croce, Tilgher e Calogero.
Contemporaneamente scopre le dottrine di realizzazione estremo-orientali, cura una versione italiana del Tao-tê-ching (Il Libro della Via e della Virtù, 1923) e pubblica la prima opera italiana sui Tantra (L’uomo come potenza, 1926), seguita da un libro molto polemico sui rapporti tra fascismo e cristianesimo (Imperialismo pagano, 1928). Diviso tra l’elevazione spirituale dell’Io e gli interventi nella vita culturale del tempo, collabora (1924-6) a Ignis, Atanòr, Bilychnis ma anche a Il Mondo e Lo Stato democratico, e pubblica i quaderni mensili di Ur (1927-8) e Krur (1929), dove scrivono Reghini, Colazza, Parise, Onofri, Comi, Servadio; poi il quindicinale La Torre (1930), chiuso d’autorità per le sue interpretazioni troppo eterodosse del fascismo. Continua la sua indagine sulle forme di realizzazione interiore e si interessa quindi di alchimia (La tradizione ermetica, 1931), di neo-spiritualismo (Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, 1932), di leggende cavalleresche ed esoteriche (Il mistero del Graal, 1937), intese come vie iniziatiche occidentali. Alla base della sua Weltanschauung antimoderna, antimaterialista, antiprogressista – che gli faceva criticare sia bolscevismo che americanismo, considerati due facce della stessa medaglia nel profetico saggio omonimo apparso sulla Nuova Antologia (1929) – c’è Rivolta contro il mondo moderno (1934), la sua opera più importante e famosa, ampio panorama della civiltà tradizionale contrapposta alla civilizzazione contemporanea. “Dopo averlo letto ci si sente trasformati” scrisse Gottfried Benn, che ne divide anche la traduzione tedesca (1935).
Cerca d’introdurre queste tematiche nel dibattito di quegli anni curando la pagina “Diorama filosofico” (1934-1943) del quotidiano Il Regime Fascista di Cremona, che ospitò tutte le migliori firme degli intellettuali conservatori dell’epoca. Sviluppa anche contatti personali con questi ambienti tenendo molte conferenze, soprattutto in Germania, e viaggiando nella Mitteleuropa (Vienna, Praga, Bucarest, Budapest).
Fa conoscere in Italia autori come Spengler, Guénon, Meyrink, Bachofen. Fra il 1933 e il 1943 s’interessa – ben prima che l’argomento diventasse d’attualità – allo studio ed all’esame dei problemi delle razze, “respingendo ogni teorizzazione del razzismo in chiave esclusivamente biologica” (R. De Felice); e scrive: Tre aspetti del problema ebraico (1936), Il mito del sangue (1937), Indirizzi per una educazione razziale (1941), che suscita l’interesse di Mussolini il quale lo convoca a Palazzo Venezia nel settembre di quell’anno: “È il libro che ci occorreva”, gli disse.
In piena guerra, quasi l’indicazione di una via da seguire, pubblica un saggio sull’ascesi buddhista: La dottrina del risveglio (1943). Dopo l’8 settembre raggiunge fortunosamente la Germania: ed è presente all’arrivo di Mussolini al Quartier Generale di Hitler. Ritorna quindi in Italia e lascia definitivamente Roma quando gli americani entrano nella capitale (4 giugno 1944). Nel 1945, a Vienna, poco prima dell’ingresso dei sovietici, si trova coinvolto in un bombardamento e, in seguito ad una lesione al midollo spinale, subisce una paresi permanente agli arti inferiori. Rientra in Italia nel 1948 ed è ricoverato a Bologna, quindi soggiornerà fra la città petroniana e la capitale, sino a stabilirsi definitivamente nella sua abitazione romana dalla fine del 1951.
Ma non è rimasto inattivo, perché tra un ospedale e un altro rivede il giovanile L’uomo come potenza, già riscritto negli Anni Trenta, che diventa Lo Yoga della potenza (1949), rielabora ed adatta i testi apparsi in Ur e Krur nei tre volumi di Introduzione alla Magia quale Scienza dell’Io (1955-6), rivede anche Teoria dell’Individuo assoluto (che in questa forma uscirà solo nel 1973) e riprende le collaborazioni giornalistiche che gli procureranno anche una avventura giudiziaria da cui uscirà completamente scagionato (il cosiddetto “processo dei FAR”, 1950-1). L’opuscolo Orientamenti (1950) contiene in nuce tutte le posizioni poi sviluppate in tre libri successivi, dove sono esposte le sue idee per vivere nel mondo del post-1945 che sempre più Evola vede come espressione dell’età ultima, il Kali-yuga, l’èra oscura: quelle sulla politica in Gli uomini e le rovine (1953), sull’erotismo in Metafisica del sesso (1958) e sugli orientamenti esistenziali in Cavalcare la tigre (1961).
Nel 1963 viene riscoperto come dadaista: Enrico Crispolti organizza una mostra dei suoi quadri alla Galleria “La Medusa” di Roma. Seguono un’autobiografia attraverso i suoi libri (Il cammino del cinabro, 1963), un saggio d’interpretazione storico-ideologica (Il fascismo, 1964), due volumi miscellanei (L’arco e la clava, 1968; Ricognizioni, 1974), la raccolta di tutte le sue poesie (Raâga Blanda, 1969). Fonda e dirige per le Edizioni Mediterranee dal 1968 al 1974 – anno della sua scomparsa – la collana “Orizzonti dello Spirito”, nella quale inserisce opere e autori dei più ampi e diversi orientamenti spirituali e tradizionali.
L’ultima fase della vita vede Julius Evola nella insospettata veste di un anti-Marcuse: il nascere della “contestazione” anche in Italia (1968) fa riscoprire il suo pensiero non solo a “destra” ma anche a “sinistra”, talché nel periodo 1968-1973 una dozzina di suoi libri vengono ristampati una o anche due volte, mentre suoi interventi sono richiesti da varie riviste. Pochi mesi prima della morte detta lo statuto della Fondazione che porta il suo nome.
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