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As Sulami
Introduzione al Sufismo
Il Leone Verde
Pag. 108 Formato: 14 x 21 cm. Anno: 2002 ISBN: 978-88-87139-42-6
€. 11.50 €. 10.92 (-5%)
Il Sufismo si presenta fin dall’inizio come la “scienza dei cuori”, la via che permette all’uomo di purificare il proprio intimo attraverso la “Grande Guerra Santa” (al-jihâd al-akbar) contro le passioni dell’anima, sì da pervenire infine a contemplare la Presenza divina che dimora nel cuore del credente. La Muqaddima di Sulamî, come molti tra i più antichi trattati di Sufismo, si preoccupa soprattutto di delineare le basi di questa Via servendosi dei detti dei suoi predecessori: classifica i principi della purificazione interiore, le attitudini necessarie a chi desidera cimentarsi in questo cammino iniziatico e le regole da osservare dopo essersi ricollegati ad un Maestro spirituale, descrivendo infine alcuni degli stati spirituali a cui va incontro il murîd (discepolo) lungo il percorso che lo condurrà all’unione con l’Amato.
Dall'Introduzione
Maestri e discepoli Nella sua introduzione a un recente studio sulla storia del Sufismo, Gilles Veinstein faceva notare che oggi, agli occhi degli occidentali, la civiltà dell’Islâm rischia di scomparire ogni giorno di più dietro al velo del fondamentalismo. La parola sharî‘a, la legge sacra dell’Islâm, che pure s’applica a un corpo di dottrine molto meno uniforme di quanto si creda, tenendo conto della diversità delle scuole giuridiche e della diversità d’opinioni più o meno rigoriste al loro interno, è divenuta per molti occidentali il simbolo di un ordine sociale arcaico e barbaro, in cui la donna, considerata una creatura inferiore e asservita all’uomo, viene lapidata e segregata, in cui la mano di ogni ladro viene amputata, in cui ogni fedele si trasforma, in base all’obbligo del jihâd, in un potenziale terrorista. “Non c’è più nessuno - afferma Veinstein - che al giorno d’oggi non conosca la parola fatwâ, ma la maggior parte non sa che essa s’applica a un parere rilasciato da un giurisperito su questioni di diritto tra le più varie, e sono convinti che essa significhi semplicemente una cosa: condanna a morte” . Si ha quasi l’impressione, costatando il semplicismo con cui oggi si preferisce affrontare qualsiasi argomento che riguardi la civiltà islamica, che tutto quello che s’era guadagnato finora dagli studi sui filosofi, i poeti e la letteratura, sull’architettura e la metafisica, per non parlare delle cronache di viaggi in oriente dei secoli passati, si stia volatilizzando e che al suo posto debba rimanere la tendenza al giudizio grossolano e la rinuncia a voler capire.
A questo punto, continuava Veinstein, dobbiamo tornare a parlare della “scienza del cuore”, a tracciare ancora una volta il confine tra il jihâd del cuore e il jihâd dell’azione, tra il grande e il piccolo jihâd, così come il Profeta stesso li aveva descritti in uno dei suoi memorabili detti. È questa infatti la chiave per poter di nuovo entrare nel merito della civiltà tradizionale e parlare dell’Islâm e dei suoi fondamenti. Il perfezionamento di sé, concetto racchiuso nell’espressione al-jihâd al-akbar, lo “sforzo maggiore”, è il filo conduttore che cuce insieme tutte le scienze tradizionali islamiche; esso regola e dirige la vita dei credenti verso un unico ideale di perfezione; anzi, direi che è questo, e non l’azione o lo “sforzo minore” (al-jihâd al-asghar), il principio che guida da sempre i musulmani attraverso le prove del combattimento interiore, della pazienza, della sottomissione e della meditazione
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