A qualcuno […] l’idea stessa del “tradurre per sé” parrà assurda. Che traduzione sarà mai una traduzione che idealmente sia destinata a rimanere nel cassetto del traduttore? Sarà, poi, ammissibile una traduzione del genere? Non si traduce alla fine sempre e comunque per gli altri, fossero gli altri ridotti anche solo a un destinatario generico? Non sarà che quelle traduzioni segrete abbiano tutte il segreto desiderio di venir pubblicate un giorno? Di simili domande non è né possibile né giusto fare a meno. Io qui, tuttavia, voglio affermare che ci sono traduzioni che il traduttore fa unicamente per sé stesso. Affermo altresì che, quando questo tipo di esercizio riceverà il dovuto riconoscimento, si sarà capita una dimensione importante di quella nebulosa di procedure varie e variamente definibili che chiamiamo “la traduzione”. Inevitabilmente mi baserò sulla mia esperienza, presupponendo però – seconda presunzione – che questa non costituisca una stranezza e che altri vi si possa riconoscere, anche fra i traduttori professionisti, per quanto costretti dai dettami del mercato letterario.