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Giulia Di Rienzo
Mistiche Castagne
Dialogo con l'albero interiore
Promolibri
Pag. 93 Formato: 11,5 x 17 cm. Anno: 1997 ISBN: 978-88-8156-067-4
€. 5.50 €. 5.22 (-5%)
Sulle orme di Alice una donna arriva al margine tra finito e infinito, impresso nell'albero cellulare del nostro organismo biologico. Qui scopre che la natura è immagine del pensiero e che le cellule conservano il ricordo della nostra origine. Un percorso spirituale che passa attraverso la curiosità creativa. La discepola è una donna dei nostri tempi, il maestro è un secolare castagno che parla dentro di lei, e il cammino è l'umiltà del ricercatore scientifico.
Estratto dal libro:
Milla era stanca di stare seduta accanto alla sorella Carne sulla sponda dei fenomeni, senza niente da fare. Aveva dato un'occhiata al libro della sorella, ma era uno squallido libro di storia locale, senza Amore né Conoscenza. "A cosa serve un libro senza Amore né Conoscenza?", pensò Milla. Si stava chiedendo (un po' intorpidita, perché quell'insicurezza la faceva scivolare nella sonnolenza) se valeva la pena alzarsi e raccogliere qualche fiore di saggezza per farsene una coroncina, quando, all'improvviso, l'albero a cui si appoggiava cominciò a parlare.
A dire il vero, non era niente di veramente strano, e in fondo non era così sorprendente che l'albero dicesse: "In natura non esistono misteri, prodigi o miracoli, ma idee che attendono di essere comprese e sperimentate". Ma quando l'albero si rivolse a lei, Milla balzò in piedi perché non aveva mai sentito nessun albero parlare dentro di lei.
Era stato il vecchio albero a parlare, un castagno dell'Alabama che aveva compiuto un lungo e avventuroso viaggio prima di arrivare sul nuovo continente. Era nato in Grecia nella notte dei tempi. Zeus aveva voluto donare agli uomini un'immagine dei suoi pensieri dando forma a un disegno universale di libertà e speranza. Aveva reso conoscibile e realizzabile ogni idea, in modo criptico per i poveri umani: una grande mappa nascosta fra i rami, attraversati da un midollo assai simile a quello degli uomini, solo molto più esteso.
I rami si protendevano all'infinito e comunicavano con tutti i canali di energia. Il castagno era dotato di una memoria formidabile, conosceva il passato e il presente di ogni specie, e come tutti i saggi stava quasi sempre in silenzio. Gli uomini più sensibili di tanto in tanto si sedevano sotto le sue fronde con le gambe incrociate e la colonna eretta; profetici canti intonavano uccelli di passaggio per orientarsi nella singolare comunicazione con l'albero. Un giorno, un arrogante individuo volle forzare l'albero a parlare.
Non riuscendo a udire risposte, pieno di rabbia sfregiò la corteccia e vi incise cuori infranti da frecce; senza tregua torturava l'albero perché voleva a tutti i costi sapere. Investito dalla brutalità di quel losco figuro, l'albero perse tutti i suoi frutti e svenne.
Spaventate le foglie si accartocciarono e caddero; offesi i fiori piansero e si sbriciolarono, ma cosciente e piena di vigore la sua anima si diede fuoco, poi allagò ogni dove, chiamò a sé tutti i venti e si immerse nella fluidità con il corpo carbonizzato che pure non aveva perso nessuna delle preziose informazioni midollari. Durante il lungo abbraccio con Nettuno potenziò la sua sensibilità, si fece ancora più saggio e impavido, arricchì i suoi rami e conobbe il tutto. Terra, fuoco, aria, acqua insieme sul suo corpo e nel suo corpo.
Venne una notte d'armonia rischiarata da canti di stelle e danze di pianeti, inni biologici per la memoria stordita del vecchio albero che, pazzo di felicità, piantò nuovamente le radici sulla terra. Scelse una terra morbida e fertile, giovane e profumata. Con i piedi in terra poteva liberarsi dai pensieri ossessivi, guardare il mondo e ricordare la sua funzione naturale. Purificato dagli elementi promise a se stesso che un giorno avrebbe parlato agli uomini.
Attese molti secoli perché i tempi non gli sembravano propizi, finché un giorno divampò un incendio spaventoso. La maggior parte degli uomini pensò a mettere al riparo i propri averi, ma un gruppo di temerari corse con il vento a gettare acqua sul corpo del castagno. Correvano veloci a prelevare acqua dal lago e quando l'ultima fiamma si spense abbracciarono fiduciosi il vecchio che, incurvato dal dolore, rispose sussurrando alcuni suoni indecifrabili. Erano troppo presi dalla loro felicità per tentare di capire il dono del vecchio e, in fondo, non volevano sapere altro: in quel momento si accontentavano di un'inconsapevole fiducia nella saggezza della pianta. Avevano una grande verità accanto a loro, ma preferirono una piccola certezza.
L'albero, pieno di amore e di riconoscenza verso quelle creature, avrebbe voluto più forte parlare, lanciare parole eduli per quegli esseri che sembravano assorbire conoscenze con la bocca. Una cellula dei suoi rami, vicina a una stella fissa, gli consigliò di tornare a dialogare con gli animali e attendere ancora. Forse un giorno altri l'avrebbero capito.
E furono di nuovo i tempi dell'attesa.
Presto al mattino si levò un canto:
"Gli uomini sono stolti, non possono volare".
Albero. Questa volta vi devo sgridare, miei cari amici. Certo gli uomini non sanno volare, però non dovete ridere della loro stupidità. Insomma dei bravi fringuelli devono limitarsi a volare e a cantare, come è giusto che sia, ma senza compiacersene.
La voce dell'albero si fece insieme dura e amabile. Quel giorno il vecchio provava una grande pena per le sofferenze degli umani e la sua compassione fu così grande che lo spinse ad agire senza consultare la stella fissa.
Milla prese il taccuino che portava sempre con sé e cominciò a scrivere: "Non cercare di imitare lo stile dei tuoi amici, non lasciarti influenzare dalle tue paure, limitati a guardarle con distacco da lontano e non farle avanzare, non puoi permettertelo. Il tuo taccuino non può contenere pensieri pensati, deve lasciarsi pensare dai pensieri".
La ragazza non aveva afferrato il significato di quanto stava scrivendo ma, sorpresa, si rese conto di aver udito a chiare note l'albero. Non ricordava con quale dei sensi, forse tutti in concerto, o forse si trattava di qualcosa che non passava attraverso i sensi perché avveniva subito nelle cellule: forse l'albero aveva trovato il modo di connettere le sue fibre con le strutture neuronali della donna. Milla vide con chiarezza dove vanno e da dove vengono tutte le cose, eppure non sapeva spiegare il fenomeno. Leggeva ma non capiva.
Poteva udire i fremiti dell'albero, vedere l'immagine profonda dell'essenza arborea, gustare i suoi frutti, sfiorare le sue forme, poteva riconoscere il suo profumo tra mille altri, ma non era in grado di riconoscere la chiave di lettura di cui si serviva. L'albero in quel momento era diventato un immenso significante che la stimolava a porre domande, a stupirsi, a curiosare nei suoi interstizi; era reale e magico, disegno e forma, idea e bolla, progetto e caos. Con la mente razionale Milla non era più in grado di decifrare i segni del mondo, eppure non era in stato di incoscienza, non era nemmeno ipnotizzata dai suoi stessi pensieri, non si era assopita, non era in una condizione di beatitudine demenziale da meditazione seduta, non era morta.
Si potrebbe dire che Milla non era mai stata così attenta e attiva. Provava una piacevole sensazione fisica, come di sollievo dopo una lunga camminata in salita su un sentiero di montagna: la pelle, traspirando, le comunicava informazioni prese dalle particelle semplici della natura; con lucidità avvertiva il senso di una comunicazione privilegiata, senza intermediazioni, fatta di colori e significanti che si imprimevano con furia nelle sue cellule.
Milla guardava negli anfratti dell'albero e l'albero guardava nelle cellule della donna, così che da questi sguardi scaturiva un'immagine unica, allargata, carica di simboli. L'incontro avveniva sul vallo che dal sogno fisico si apriva sul bosco del castagno, sul margine tra fisico e metafisico, dove il margine costituiva una sorta di interfaccia e di filtro tra le informazioni dei due sistemi. Milla sentiva di essere sogno, o meglio attrice del sogno metafisico, sentiva che lo spazio-tempo non era altro che una proiezione simbolica della dimensione metafisica: agiva in un mondo alla rovescia, la realtà era là oltre il margine, mentre lo spazio fisico era nel margine, dunque nel limite meschino stabilito dalla conoscenza umana.
Vedeva due dimensioni: quella verticale, il mondo delle idee in movimento e dei quasar, fluire eterea, luminosa ma incolore; quella orizzontale, il mondo fisico delle prove e degli errori, dei colori e delle immagini, protesa nell'immane sforzo evolutivo verso le idee del cosmo. Il margine, specchio e filtro tra i due mondi, fungeva da necessario selezionatore e miscelatore di idee e domande. La donna provava gioia mista a smarrimento. Si sentiva ricongiunta con la mitica unità originaria che, fino a quel momento, pensava si potesse scoprire solo attraverso l'esperienza artistica.
Nel sentire sul suo corpo le rappresentazioni dell'arte cosmica, Milla seppe che il suo albero non era fisico, ma non cancellò del tutto i dubbi che la ragione le imponeva. Pensò quindi di intraprendere una lunga conversazione con il vecchio castagno che sembrava ben disposto ad accontentarla. Dapprima non seppe liberarsi di un certo cinismo scettico che comunque le si addiceva, poi iniziò con sottile ironia a conversare
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