«Finalmente si cammina». Così Flaviano Bianchini ci introduce all’affascinante scoperta del Tibet, della sua natura, del suo popolo, della sua cultura e dei drammi dell’occupazione da parte del regime di Pechino. «Oggi raramente un uomo percorre lunghi viaggi a piedi. Non lo fa quando è imprigionato nella sua città tra lavoro e famiglia, ma non lo fa neanche quando decide di andarsene». Si viaggia in treno, in macchina, in aereo, «ma il vero viaggio, il viaggio di scoperta e di esplorazione, è solo il viaggio a piedi. È l’unico che consente di vedere nuove terre ma anche, come diceva Proust, di vedere con nuovi occhi». Bianchini ci accompagna nella sua avventura di clandestino in una terra di orizzonti immensi e montagne maestose, dal Kailash a Lhasa, in cerca dei luoghi del suo amico Palden, un monaco fuggito dopo arresti e torture. A piedi, ma anche su precari mezzi di locomozione in compagnia di pellegrini, commercianti e nomadi. «Non posso sperare di entrare dentro il Tibet se non mi muovo come si muovono i tibetani. Se vuoi conoscere il Tibet l’unico modo è camminare».