Sono “tempi di povertà” quelli che la poesia di Daniele Piccini attraversa, eppure senza resa, senza rinuncia. C’è un testo – forse l’architrave del libro – dedicato a Leopardi: “Giacomo, la tua voce/ si spezza nelle generazioni vuote/ che separano vite quasi uguali…”. Un Leopardi fraterno e intimo è infatti tra le pietre angolari della memoria poetica di Piccini, perché gli insegna a dialogare con tutte le presenze del mondo. L’altra grande fonte è il senso creaturale francescano: “errore fu il venire giù dai covi/ dei lupi pacificati o colombi,/ errore fu tentare la natura…”. Tutto ciò che esiste tremola: tremolare è forse l’azione più propria della parola poetica di Piccini, che non ha timore di accostarsi al brivido metafisico, all’abisso della domanda ultima.