Sono passati in rassegna i movimenti maschili pro e contro il femminismo: progressisti (come filone culturale che giulivamente considera salutari la crisi maschile e l’autocastrazione psicologica a puntate), antifemministi (il sito “Anti-feminist on line Journal”, una sorta di fortilizio lacustre costruito sui pali dell’ etologia umana profonda), liberali (“Pari diritti per gli uomini”, gruppo che rivendica lo stato neutrale); radicali, nel senso di fondamentalisti, ripartiti in relazione all’approccio: decostruttivista, con tutti i pregi e i difetti di una sociologia acefala del mondo ("Uomini 3000"); neomarxista rigoroso, talvolta pignolo, ma con una sua particolare ariosità storica (“Uomini Beta”); antropologico, eroico e un pizzico tardo romantico (“Maschi Selvatici”). Nella seconda parte, quantitativamente più lunga rispetto alle altre , sono affrontati e confutati gli addebiti o argomenti specifici, di regola impugnati come clave dal pensiero femminista. Citiamo senza seguire un ordine di esposizione preciso (e magari dimenticando qualcosa): la critica alla sessualità maschile su base biologica, sorta di dolorosa castrazione postuma; il programmatico rifiuto della famiglia patriarcale presentata come l’ ultima Thule del macho zotico; l’attacco alla maschilità, sempre e comunque portatrice sana di violenza. La terza parte, probabilmente la più ghiotta, si occupa della “rappresentazione del maschile”: di come viene “narrato” a sinistra ( tutta o quasi dalla parte del determinismo culturale della Gender Theory), a destra e dalla Chiesa.